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Il paradosso del buon manager? Lavorare per non essere più necessario

Il paradosso del buon manager: lavorare per non essere più necessario

A leader is best when people barely know he exists. When his work is done, his aim fulfilled, they will say: we did it ourselves.

Col tempo ho imparato che il ruolo del manager non è avere tutte le risposte. Né tenere tutto sotto controllo.

Anzi, più passa il tempo, più mi convinco di una cosa: il bravo manager lavora per rendersi superfluo.

Detta così può sembrare una provocazione. Ma per me è un principio guida.


Non costruire dipendenza, ma autonomia

Un team non cresce davvero se tutto dipende da una sola persona. Se ogni decisione, ogni movimento, ogni svolta deve passare dal manager, allora qualcosa non funziona.

Delegare non è solo un gesto organizzativo. È un atto di fiducia e di coraggio: significa accettare che gli altri facciano le cose a modo loro, che sbaglino, che imparino. Significa cedere gradualmente il controllo per costruire autonomia.

E quando questa autonomia nasce, quando le persone iniziano a prendersi responsabilità, a muoversi in autonomia, a confrontarsi tra loro senza dover sempre “salire di livello”… beh, lì succede qualcosa di potente. Nasce il vero gioco di squadra.


Gioco di squadra, davvero

Non intendo il lavoro di gruppo “per forza”. Parlo di quella dimensione in cui le persone si ascoltano, si supportano, si responsabilizzano a vicenda. In cui le idee girano, si migliorano, e nessuno deve “aspettare il capo” per muoversi.

Con il tempo ho capito che il mio compito è creare le condizioni perché questo accada. Costruire un contesto chiaro, obiettivi condivisi, processi leggeri ma solidi. E poi lasciare spazio, rimanendo a fianco del team, ma non davanti.


Diventare meno visibili, ma più utili

Non è facile, soprattutto se si è cresciuti con l’idea che un manager debba “esserci sempre”, risolvere, intervenire, decidere.

Ma oggi penso il contrario: più riesco a non essere necessario, più sto facendo bene il mio lavoro. Non perché voglia sparire, ma perché voglio che il team impari a camminare da solo.

A quel punto, il ruolo del manager, diventa più un facilitatore, uno che osserva, che collega, che dà visione. Che lavora sul sistema, più che dentro il sistema.


Una leadership silenziosa, ma presente

Essere un manager, oggi, non significa accentrare, significa creare le condizioni perché le persone possano esprimere il proprio potenziale — anche senza dipendere da te.

Ed è lì che si vede la vera leadership: non in chi è indispensabile, ma in chi ha lasciato strumenti, visione e fiducia sufficienti perché tutto continui a funzionare anche in sua assenza.


In fondo…

Mi piace pensare che il ruolo del manager sia un po’ come quello di un tutore per una pianta: serve all’inizio, quando c’è bisogno di stabilità. Ma poi, se le radici sono buone e la pianta è forte, quel sostegno non serve più. Ed è in quel momento che capisci di aver fatto un buon lavoro.

Non perché ti sei fatto da parte. Ma perché hai lasciato spazio, e il team ha saputo occuparlo.

Perché non hai messo te stesso al centro, ma hai fatto crescere una squadra capace di agire, decidere e costruire insieme.

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