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Il coach che non urlava mai (e vinse 10 campionati): cosa John Wooden insegna ai leader di oggi

Una leadership che si misura sulla crescita degli altri, non sul controllo.

John Wooden non urlava mai. In trent’anni di carriera come allenatore di basket, nessuno lo ha mai sentito alzare la voce durante un allenamento. Eppure ha guidato UCLA a dieci campionati nazionali in dodici anni, un record che nessuno è mai riuscito nemmeno ad avvicinare.

La sua filosofia era semplice quanto rivoluzionaria: “Non dire mai a un giocatore cosa non può fare. Digli cosa può fare e come farlo meglio.”

Questa distinzione tra comando e coaching non è solo una questione di stile. È la differenza tra creare dipendenza e costruire autonomia, tra ottenere compliance temporanea e sviluppare competenza duratura.

Il potere silenzioso dell’osservazione

Wooden passava ore a osservare i suoi giocatori prima di dire qualsiasi cosa. Non per giudicarli, ma per capire come pensavano, come si muovevano, quali erano i loro punti di forza nascosti. Solo dopo iniziava a lavorare su di loro.

Nei team di oggi questa pazienza sembra un lusso che non possiamo permetterci. Siamo sempre di corsa, sempre sotto pressione, sempre pronti a dare istruzioni immediate. Ma l’osservazione attenta è proprio quello che distingue un leader da un micromanager.

Quando osservi davvero le persone del tuo team, scopri che:

La tecnica del “modellamento progressivo”

Wooden non correggeva mai direttamente un errore. Usava quello che chiamava “modellamento”: mostrava prima la versione corretta, poi quella scorretta, infine di nuovo quella corretta.

“Questo è come si fa. Questo è quello che hai fatto tu. Ora rifai così.”

Niente giudizi, niente critiche personali. Solo un percorso chiaro verso il miglioramento.

Nel mondo del lavoro, questo si traduce in feedback che costruisce invece di demolire. Invece di dire “Hai sbagliato l’analisi”, prova con: “Ecco come potrebbe funzionare meglio questa analisi. Vedi la differenza con l’approccio precedente? Ora riproviamo insieme.”

Come diceva Wooden:

Un coach è qualcuno che può darti correzione senza provocare risentimento.

Questa è forse la skill più preziosa nel management moderno: la capacità di far crescere le persone mantenendo intatta la loro motivazione e autostima.

Crescere persone, non solo performance

Il vero genio di Wooden era la sua capacità di vedere oltre il risultato immediato. Non allenava giocatori di basket, cresceva persone che sapevano giocare a basket. Non sviluppava tecnica, sviluppava carattere attraverso la tecnica.

“Il successo arriva quando la preparazione incontra l’opportunità”, diceva sempre ai suoi giocatori. Ma la preparazione di cui parlava non era solo atletica. Era mentale, emotiva, caratteriale.

In azienda, questo significa investire tempo nello sviluppo delle persone anche quando non porta risultati immediati. Significa chiedersi: “Questa persona sarà migliore dopo aver lavorato con me?” Non solo più produttiva. Migliore.

Oggi parliamo molto di employee engagement, retention dei talenti, employer branding. Ma spesso dimentichiamo che le persone restano dove crescono. Non dove sono comode, ma dove sentono di diventare versioni migliori di sé stesse. Il coaching autentico è il più potente strumento di retention che un’azienda possa avere.

Il ROI invisibile del coaching

Nel business amiamo misurare tutto: KPI, conversion rate, productivity metrics. Ma come si misura l’impatto di un manager che sa fare coaching?

Guarda la crescita professionale delle persone che hanno lavorato con lui negli anni. Osserva quante di queste persone sono diventate a loro volta leader efficaci. Conta quante volte vengono cercate per nuovi progetti o promozioni.

Il coaching genera quello che potremmo chiamare “capitale umano composto”: ogni persona che cresci bene diventa a sua volta un moltiplicatore di competenze per l’organizzazione. È un investimento che genera rendimenti esponenziali nel tempo.

Il coaching quotidiano in pratica

La filosofia di Wooden si può applicare in ogni interazione quotidiana:

Quando il controllo diventa controproducente

La tentazione del comando è forte, specialmente sotto pressione. È più veloce dire cosa fare che spiegare come pensare. È più semplice correggere che insegnare a correggere.

Ma il controllo diretto ha un costo nascosto: crea dipendenza. Le persone smettono di pensare autonomamente, aspettano istruzioni, non si assumono responsabilità.

Wooden lo sapeva bene: “È quello che impari dopo aver saputo tutto, che conta davvero.” Il coaching vero inizia quando smetti di dare risposte e inizi a fare le domande giuste.

L’eredità di un coach

Gli ex giocatori di Wooden non lo ricordano per i trofei vinti, ma per l’uomo che sono diventati grazie a lui. Molti sono diventati a loro volta coach, manager, leader. Hanno imparato non solo a giocare, ma a far giocare meglio gli altri.

Questa è la vera misura del coaching: non quante persone controlli, ma quante persone crescono. Non quanto sei indispensabile, ma quante persone rendi indipendenti.

Ogni volta che scegli di spiegare invece di ordinare, di domandare invece di assumere, di guidare invece di spingere, stai applicando la filosofia di John Wooden. Stai investendo in qualcosa che durerà molto più a lungo del prossimo deadline.

Perché alla fine, come diceva il Wizard di Westwood,

Puoi fare molto se non ti importa chi prende il merito.


La leadership autentica si misura non su quello che ottieni tu, ma su quello che diventano le persone che lavorano con te.

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